Nei manufatti riportati nel 1863 dalla spedizione scientifica in Nord-America del geologo spezzino Giovanni Capellini, vi sono diverse paia di mocassini cerimoniali Omaha. Oggetti che nella loro essenzialità ci parlano più che mai di un popolo figlio del vento.((Rosanna Piccioli, I figli del vento : gli indiani delle praterie nelle collezioni ottocentesche.))
La spedizione di Giovanni Capellini
Nel 1863, l’America è nel bel mezzo della Guerra Civile. Un giovane paleontologo ligure, lo spezzino Giovanni Capellini si troverà in viaggio a seguito di una spedizione scientifica((Giovanni Capellini “Ricordi di un viaggio scientifico nell’America Settentrionale“, 1863)) negli ampi territori del continente nord-americano.
Capellini viaggia in Canada e successivamente nel Michigan, nell’Illinois, nell’Iowa e infine nel Nebraska. Qui, a Blackbird, sono stanziate le tribù Ponca e Omaha appartenenti entrambe alla grande famiglia dei Sioux. In Europa, degli indiani delle Grandi Pianure, si aveva già una buona conoscenza. Questi grandi cacciatori di bisonti erano stati raffigurati con accuratezza dal pittore e avventuriero americano George Catlin e descritti nel dettaglio dal naturalista tedesco Maximilian zu Wied-Neuwied. Questo – quasi trent’anni prima – dell’arrivo di Giovanni Capellini – nelle Grandi Pianure attraversate dal Missouri.
L’incontro con i nativi americani
Capellini nell’accampamento di Blackbird conoscerà gli Omaha molto da vicino, in questa opera sarà estremamente agevolato dal legame profondo che ha con Francis il figlio del capo indiano Omaha Joseph La Flesche e con Mary Gale la moglie del capo stesso. Amicizia che lo porterà a ricevere in dono molti di quei reperti che sono oggi visibili al Museo Etnografico “Giovanni Podenzana”della Spezia .
Reperti di particolare importanza dal punto di vista storico in quanto gli Omaha incontrati non erano al tempo ancora confinati nelle riserve del Nebraska Orientale.
Infatti, il primo trattato di cessione delle terre al governo statunitense si ha solo pochi anni prima, nel 18541 e da lì a poco se ne stipuleranno altri come quello del 1865 ratificato nel 1866((Treaty between the United States of America and the Omaha Tribe of Indians)) fino a quello definitivo dell’agosto del 1882((Agreement with the Omaha Tribe)) che porterà ad un notevole ridimensionamento della loro riserva. Trattati che permetteranno la loro sopravvivenza fisica e culturale, ottenuta attraverso un processo di integrazione e l’assimilazione a stili di vita più occidentali.
Questi reperti che per la loro esiguità (sono solo 13) e tipologia (sono alla fine ricordi di viaggio molto personali, raccolti non per essere esposti in un museo) non possono ovviamente parlarci in modo esaustivo della vita e della storia degli Omaha. Tuttavia sono una importante testimonianza di quel doloroso periodo di passaggio tra il mondo che questa tribù conosceva prima e quello della riserva, un passaggio ottenuto scendendo a patti con l’uomo bianco. Di questo particolare momento essi stessi diranno:
L’indiano […] guarda al futuro e vede che la sua sola possibilità è quella di trasformarsi nell’uomo bianco.
La Flesche, capo indiano Omaha
I reperti al Museo Etnografico “Giovanni Podenzana”
Nell’ esposizione presente al Museo Etnografico della Spezia, sono stato particolarmente colpito dai mocassini ceremoniali. Le 4 paia presenti nella sala dove vi è anche l’esposizione di parti dei reperti fossili raccolti in zona da Giovanni Capellini ci dicono molto del corpo, delle abitudini e della meccanica della camminata di queste popolazioni.
La pelle dei mocassini
Partiamo dal materiale. Il materiale con cui vengono realizzati è pelle di bisonte e pelle di cervo. Molto spesso si riutilizzano pelli che avevano avuto in precedenza un altro scopo (per esempio nel caso dei reperti nel museo quello di essere state usate per realizzare una sacca parfleche). I mocassini cerimoniali esposti sono altamente decorati, con motivi realizzati intrecciando le perline. Quelli di utilizzo quotidiano invece non hanno decori.2
I mocassini sono realizzati cucendo una spessa suola di pelle di bisonte con una tomaia solitamente in pelle di cervo. Quelli degli Omaha chiamati hin-be (o han-be) si distinguevano da quelli delle altre tribù dalla forma della suola, dalla foggia delle decorazioni e dai rinforzi presenti nella zona del tallone3. Infatti, fra la suola e la tomaia i mocassini Omaha avevano tre rinforzi: uno centrale e due laterali. Altri gruppi di nativi americani possedevano rinforzi solo laterali o un solo rinforzo centrale.
Ognuno ha la sua impronta
Anche le impronte provocate sul terreno da queste scarpe permettevano di capire quale tribù fosse passata da un determinato luogo. Gli Omaha e i Ponca lasciavano impronte che mostravano come la punta dei loro piedi fosse dritta, mentre le impronte dei Dakota mostravano punte dei piedi leggermente piegate all’interno e quelle dei Winnebago mostravano invece la tipica impronta di “pigeon toed feet” ovvero piedi marcatamente rivolti verso l’interno. Quasi all’opposto si mostravano invece le impronte dei Pawnee in cui il piede era rivolto verso l’esterno. Questo differenze dipendevano da come le madri immobilizzassero i bambini e i loro piedi all’interno della culla (swaddling). Allo scopo, si utilizzavano una serie di fasce e piccoli pezzetti di legno che spesso veniva interposto fra le gambe.
Prima di calze e calzini
I mocassini cerimoniali o quotidiani avevano anche un loro rivestimento interno. Presentavano un imbottitura (hin-bégá-win-ghe) di pelo di bisonte (solitamente si usavano i peli della testa) o di erba (red grass). I piedi venivano così fasciati da queste due materiali che si rivelavano estremamente validi anche in condizioni di elevata umidità. Solo dopo diversi incontri con i commercianti americani e europei, i nativi americani inizieranno ad utilizzare calze e calzini di stoffa.
Conchiglie, aghi di porcospino e perline di vetro
Sui mocassini cerimoniali era presenti diverse decorazioni sulla tomaia. I motivi raffigurati erani molteplici (boccioli, calici, forme geometriche), spesso vi si trovava una rappresentazione a forma di croce che simbolicamente rappresentava una stella o le Quattro Direzioni dello spazio. Questo tipo di raffigurazione, oltre a essere estremamente diffusa ; tanto che anche le calzature dei bambini e le stesse scarpe delle bambole la riportavano, è comune a diverse tribù di nativi(Ponca, Dakota, Wichita e Blackfeet). Le perline di vetro come elemento decorativo compariranno nelle calzature dei nativi indicativamente verso il 1840 quando sia in Boemia che nell’area di Venezia-Murano le fabbriche vetraie riusciranno a produrle in grandi quantità.(( Karlis Karklins, Roderick Sprague,Glass Trade Beads in North America: An Annotated Bibliography, Historical Archaeology, Vol. 6 (1972) )),((Donald Scott Crull, The Economy and Archaeology of European-made Glass Beads and Manufactured Goods Used in First Contact Situations in Oregon, California and Washington, University of Sheffield)) Prima di allora si utilizzavano conchiglie, aculei di porcospino e penne di tacchino debitamente lavorate da artigiani specializzati, in un processo produttivo che spesso mostrava aspetti simili a quelli presenti nei riti religiosi.
Le minuscole perline di vetro (di tipo “a semenza“) sostituiranno rapidamente altri tipi di materiale da decorazione. La facilità della loro applicabilità farà sì che saranno utilizzate per la produzione di abiti, copricapi e accessori. Nel primo periodo della loro diffusione saranno perline di vetro color bianco, color blu o color nero; più facili ed economiche da fabbricare. Successivamente verranno utilizzate anche quelle di color rosso o giallo che richiedevano una maggiore spesa in termini di colorante. Si pensi tuttavia che l’utilizzo di perline in vetro risale ad epoche ben più antiche, si stima che esse siano state uno dei primi materiali ad arrivare in America, ancor prima della scoperta del continente da parte europea fatta da Cristoforo Colombo4.
Il colore dei mocassini di Capellini
Anche la stessa colorazione dei mocassini risentirà del contatto con i popoli euroamericani. Infatti se prima per i colori si utilizzavano coloranti naturali derivati da erbe (presenti nel florido ambiente delle Great Plains) successivamente si utilizzeranno quelli artificiali venduti – a caro prezzo – dai commercianti di pelli e dai coloni. Fra questi quelli maggiormente diffusi saranno il colore giallo, il colore rosso e il colore nero.
Gli Omaha oggi
Oggi gli Omaha vivono in una riserva. Fra Iowa e Nebraska . Sono circa 5.000, in 795 chilometriquadrati. Rispetto al territorio che occupavano (in verde), come si può vedere nella foto sotto, è una minima parte (arancione). La discrepanza è evidente. E già in quel diario di viaggio, Giovanni Capellini, annotò quell’ “ingordigia di territorio” da parte dell’ “uomo pallido” che aveva caratterizzato i trattati di pace.
- Treaty with the Omaha, 1854 [↩]
- È bene sottolineare come non tutti i nativi americani portino mocassini. I nativi delle Grandi Pianure, visitati da Capellini, li fabbricano e li indossano. [↩]
- James Owen Dorsey, Omaha Clothing and Personal Ornaments, American Anthropologist 3(1): 71-77 [↩]
- Kunz, M., & Mills, R. A Precolumbian Presence of Venetian Glass Trade Beads in Arctic Alaska. American Antiquity, 86(2), 395-412. 2021 [↩]