Questa primavera durante una bella visita al Museo Etnografico “Giovanni Podenzana” di La Spezia ho avuto modo di osservare da vicino alcuni brevi o brevini, degli amuleti che venivano donati ai bambini a scopo protettivo. Vicini ad essi inoltre vi erano dei braccialetti in corallo che venivano donati per lo stesso scopo. Confesso che entrambi gli oggetti ci hanno incuriosito non poco per cui abbiamo deciso di approfondirne il significato.
Che cos’è un amuleto?
La parola amuleto deriva dal latino “amuletum” ed era usata da Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) per indicare un oggetto indossato sul corpo per scopi benefici terapeutici, apotropaici o esorcistici1 Esso è un oggetto raccolto in natura o realizzato a mano, volto a preservare chi lo indossa dai pericoli, dai dolori e dai rischi causati da spiriti maligni. In generale l’amuleto protegge e “porta fortuna”. Esso è quindi un oggetto di protezione passivo .
Che cos’è un talismano?
Il talismano viceversa è un portafortuna attivo ovvero propizia ed attira particolari benefici alla persona, arrivando perfino a donare delle potenzialità al suo possessore. Esso ha quindi un ruolo attivo ovvero quello di ampliare il benessere, la salute o il successo di un individuo.
Perchè si utilizzavano gli amuleti?
L’utilizzo degli amuleti si inseriva in quella che era la religiosità popolare e rurale di un tempo dove si intrecciavano diversi livelli di concezione del sacro. In particolare era una religiosità fatta di “protezione” e finalizzata alla risoluzione di problemi che sfuggivano al controllo della mente razionale. Si pensi alle avversità naturali, alla perdita dei raccolti, alle malattie della persona o del bestiame; eventi davanti ai quali l’uomo del tempo rimaneva pressochè inerme e indifeso quando non vittima. Si necessitava così di qualcosa di soprannaturale che aiutasse a scongiurare i rischi del vivere.
Un mondo di simboli
Gli amuleti non erano gli unici elementi volti ad avere questa funzione. Era un mondo quello rurale ricco di questi elementi “protettivi” si pensi alle immagini devozionali, ai bassorilievi in marmo note come maestà (posti in edicole lungo vie e sentieri poderali o murate sopra i portali case), ai volti di pietra o legno (chiamati “facion“) muti difensori posti a protezione delle abitazioni, agli ex voto donati ai santuari, alle reliquie conservate o indossare, ai rituali collettivi di pellegrinaggio nei locus sacri (cristiani) che ancora oggi resistono.
Nascere era rischioso
Eventi importanti nel ciclo della vita necessitavano poi di particolare protezione. Fra questi vi erano la gravidanza, il parto e la cura del nascituro nei primi anni di vita. L’alta mortalità infantile e l’alta mortalità della stessa madre durante il parto portavano ad aggrapparsi a qualcosa là dove certezze non esistevano.
Si pensi infatti come il parto in un tempo in cui non vi erano anestici, strumenti specifici, antibiotici e disinfettanti fosse un evento ad alto rischio. Il ricorso ad amuleti serviva a scongiurare che esso non si trasformasse in tragedia per la madre o per il figlio. Inoltre nei primi anni di vita (in un era preantibiotica) ci si ricordi come un bambino fosse esposto a diversi pericoli e malattie e come di conseguenza i riti e gli scongiuri per proteggerlo fossero molti.
I registri dei Magistrati di Sanità italiani o i Bills of Mortality inglesi ci testimoniano come fossero numerose le morti e come solo a partire dalla fine del XVIII il parto sia diventato una evento più sicuro.
Una “pietra sonante” come amuleto
Proprio in questa delicata fase del concepimento della vita umana si utilizzavano diversi amuleti. Una particolare pietra detta “pietra aquilina((Bromehead, Aetites or the Eagle-stone, Antiquity, 1947))” di cui l’uso è già citato da autori antichi (come Plinio il Vecchio nel Capitolo X capitolo IV della Naturalis Historia o Dioscoride((vedi P. A. Mattioli, Discorsi ne’ sei libri di Pedacio Dioscoride Anazarbeo, Venezia))) era legata al braccio destro della futura madre per impedire una nascita prematura. Mentre dopo il parto la stessa veniva legata alla coscia destra a protezione del nascituro.
La “pietra aquilina”2 deriva il suo loro nome dal greco antico ἀετίτης (che letteralmente significa “pietra d’aquila”). Nella mitologia greca e romana, l’aquila era sia il simbolo di Zeus che di Giove e gli oggetti associati a questi uccelli avevano uno status molto elevato. .Era una pietra sonante in quando scuotendolo emetteva un suono
Il suo uso non era ristretto all’ambito rurale ma diffuso in tutte le classi sociali3
In realtà la pietra aquilina non era una pietra magica bendì una concrezione argillosa di limonite cava. Al suo interno alcune parti distaccatesi dal corpo principale essendo libere di muoversi provocavano il famoso suono. Per la medicina popolare del tempo immediata era l’associazione con il feto contenuto nel ventre della madre. Portandola come amuleto una donna gravida avrebbe avuto un parto felice((Una cosa particolarmente interessante è notare come in altre ricette mediche si raccomandi invece di allontanare rapidamente la pietra dal corpo della donna dopo il parto poichè con il suo potente influsso potrebbe provocare un’emorragia fulminante)). Ancora oggi, in alcune parti della penisola italica, si appendono queste pietre alle piante fruttifere per propiziare la buona maturazione della frutta stessa.
Il “breve“, “brevino” o “brevetto”
L’utilizzo di amuleti non si limitava al solo parto. Una volta che era nato era diffusa l’abitudine di realizzare per il neonato un breve (brevino o brevetto) cioè un piccolo involto di stoffa e cartone che allacciato al collo del bambino (e nascosto sotto i vestiti) ne allontanava i malefici. Quando non veniva portato al collo veniva appeso alla culla. Tra le due pezzette di stoffa a forma a cuore (o di rombo) e spesso ricamate con l’effige di un neonato in fasce erano racchiusi diversi materiali con funzione apotropaica. Fra questi cera e ulivo benedetto, sale, chicchi di grano, frammenti di santini religiosi e piccole medaglie con l’effige dei santi o della Vergine. Non mancava l’inserimento di erbe curative come la ruta e l’iperico, menta, artemisia, lavanda((Spesso queste erbe venivano raccolte la notte di S. Giovanni o del Solstizio d’Estate. Tanto che un erba come l’iperico era anche chiamata erba di S. Giovanni)) in quanto considerate più efficaci.Era consuetudine raccoglierle a piedi nudi per purifcarsi e elementi animali come il pelo di tasso e le spoglie di serpente.
Nel Museo Etnografico di Villafranca di Lunigiana un “breve” è stato totalmente dissezionato ed ecco cosa vi si è trovato all’interno:
- un frammento di filo rosso
- un frammento di palma benedetta
- una foglia di ulivo
- una goccia di cera pasquale
- una medaglietta sacra raffigurante la Vergine
- un frammento di legno di faggio del santuario di S. Pellegrino
- un pezzetto di legno di loppio (Acer campestre)
- tre chicchi di grano
- tre chicchi di finocchio selvatico
Il breve era un oggetto intimo e personale che era prodotto nei conventi (o da guaritori di campagna) appositamente per un preciso nascituro. Esso andava sempre portato con sè. A volte venivavo fabbricat dei brevi anche per gli animali di campagna. La pratica del confezionamente del breve è riconducibile alla pratica dei “brevia” cristiano-cattolici cioè piccole preghiere di carta benedette che venivano portate al collo.
Il braccialetto di Corallo
Nelle comunità rurali non solo si confezionava al neonato un “breve“, ma spesso si regalava anche un monile di rosso corallo (Corallium rubrum) per proteggerlo dalle malattie. Le persone più povere che non potevano permettersi il corallo portavano invece al polso un nastrino di colore rosso. In particolare il corallo proteggeva dalle malattie fulminanti e improvvise, dal malocchio e della fascinazione. Il corallo rosso grezzo ha infatti rivestito nei secoli il ruolo importante di simbolo portafortuna e di buon augurio, tanto che ancora oggi ai nascituri viene donato in occasione del battesimo cristiano.
Il Corallo nell’Arte
L’uso di monili in corallo nei bambini si ritrova anche in molte ed importanti opere pittoriche, dove lo vediamo indossato dal Bambino Gesù stesso. Fra le più famose:
- nella Madonna di Senigallia e nella Pala di Brera di Piero della Francesca,
- nella Madonna del Solletico di Masaccio
- nella Sacra Famiglia con Agnello di Raffaello Sanzio
- nella Madonna con Bambino di Barnaba da Modena
- nel Regno di Anfitrite di Jacopo Zucchi
Il suo uso di portafortuna è anche indicato in un altro dipinto. Quello di Lorenzo da Viterbo che raffigura Sant’Egidio allattato da una cerva (Museo Diocesano di Orte). In esso il santo ancora in fasce ha una collana corallina al collo, segno dell’incontro fortuito con la cerva che gli salva la vita all’interno del bosco in cui si trova.
Il corallo, nelle ricette mediche in particolare in quelle raccolte da Attilio Casavecchia nel libro “Medicina Popolare e Magia” veniva utilizzato per rafforzare il potere stesso della pietra aquilina. Polverizzato e mescolato con il (preziosissimo) zucchero rosato probabilmente veniva somministrato per bocca alla partoriente che già indossava la pietra. Come la stessa pietra aquilina, anch’esso trovava impiego in agricoltura. Esso veniva infatti polverizzato e cosparso nel terreno allo scopo di renderlo più produttivo e immune da eventi improvvisi come le tempeste e le folgori.
Il colore rosso del corallo ma anche di altri elementi è stato fin dall’antichità il colore apotropaico per eccellenza; simbolo del sangue e della forza vitale. Le stesse culle specie quelle fatte dagli artigiani di Bratto nell’alto pontremolese erano dipinte con linfa rossa del faggio. Oppure tende rosse e o coperte rosse si tenevano nelle stanze dei bambini. Lo scopo era scaramantico. In un mondo basato su un economia agropastorale le malattie di uomini e bestiame e le carestie erano pericoli da scongiurare.
La testimonianza del Sacro
Queste manifestazioni descritte sopra sono una minima parte del grande patrimonio culturale e magico-terapeutico della società contadina. Esse hanno accompagnato la vita di molti uomini e donne specie là dove vi era una distanza cronologica o una distanza fisica dai presidi medici e dalle conoscenze scientifiche. Le loro erano pratiche comuni di difesa del singolo e della collettività davanti eventi enormi. Sono oggi che parlano di un passato lontano, di qualcosa di sacro che merita il nostro silenzio, il nostro rispetto e la nostra comprensione.
- Don C. Skemer, “Binding Words“, 2006 [↩]
- In tedesco sono conosciute come Klapperstein, in francese Pierre d’Aigle e in italiano come Pietre Gravide [↩]
- Cristina di Lorena, moglie di Ferdinando I o Martha Postlehwaythe ne parlano nella loro corrispondenza e sono due donne appartenente a classi sociali elevate vissute rispettivamente nel XVII e XVIII secolo. Per maggiori informazioni vedi “Tra bambini e acque sporche. Immersione nella collezione di amuleti di Giuseppe Bellucci”, Morlacchi 2009 [↩]