Menuki e Kanugu: Arte in miniatura

Durante la nostra visita alla mostra “Giappone – Terra di Geisha e Samurai” a Villa Contarini,  siamo rimasti affascinati da un particolare insieme di oggetti: i menuki e i kanagu. Incastonati nel buio di una vetrina, minuscoli, spesso grandi quanto una falange, raccontavano storie di draghi, carpe e fiori di ciliegio. Queste opere d’arte in miniatura rivelano un intero universo di tecnica, simbologia e storia, che merita di essere indagato a fondo.

Menuki: funzione, simbolo, identità

I menuki sono piccoli ornamenti metallici applicati ai lati dell’impugnatura (tsuka) delle spade giapponesi, sotto la treccia in seta che ne riveste la struttura. Sebbene siano lunghi appena 3–5 cm, la loro storia è antica e carica di significato. Originatisi nel periodo Kamakura (1185–1333), i menuki inizialmente avevano anche una funzione pratica: servivano da supporto per la presa della mano e, in alcuni casi, fungevano da blocco meccanico. Col tempo, la funzione decorativa e simbolica divenne preminente. Ogni samurai personalizzava i propri menuki con soggetti che evocavano qualità come coraggio (tigre), longevità (gru o tartaruga), saggezza (draghi) o fedeltà (cani e volpi). Alcuni erano vere allegorie erotiche o religiose, nascosti sotto la presa della spada come piccoli talismani personali. Durante il periodo Edo (1603–1868), l’arte in miniatura dei menuki raggiunse il suo apice: scuole come quella dei Gotō produssero esemplari finemente cesellati in shakudō, una lega di rame e oro che, dopo trattamento chimico con rokushō, assume una profonda tonalità nero-blu.

Kanagu: funzionalità e bellezza quotidiana

I kanagu, letteralmente “ferramenta”, sono placche metalliche ornamentali usate per decorare oggetti di uso quotidiano: portasigarette, scatole, cassettiere (tansu) e accessori personali. Durante la mostra, alcuni kanagu ci hanno colpiti per la loro sorprendente raffinatezza: rilievi altissimi, intarsi in oro e argento, persino motivi in smalto cloisonné.Nel XVIII secolo, con l’introduzione del tabacco in Giappone, divennero comuni le borsette da tabacco (tabako-ire), spesso fissate alla cintura tramite fermagli metallici (i mae-kanagu). Questi fermagli, lunghi anche solo 2–3 cm, erano vere opere d’arte in miniatura, con scene mitologiche, paesaggi o figure umoristiche.

I materiali della perfezione

Menuki e kanagu erano realizzati in una varietà di leghe: shakudō (rame + oro), shibuichi (rame + argento), sentoku (ottone giapponese), ma anche in oro e argento puri. Alcuni presentano nanako-ji, una finitura a punzonatura fitta che simula un fondo a caviale, richiedendo centinaia di micro-colpi al millimetro quadrato. L’intarsio metallico (zōgan) e le patine chimiche erano fondamentali per ottenere l’effetto policromo. Studi recenti al microscopio elettronico (SEM) hanno dimostrato che le patine del shakudō contengono nanoparticelle d’oro, invisibili a occhio nudo, che conferiscono il caratteristico nero profondo e lucente.

Arte in miniatura

Quella che all’apparenza sembra solo una decorazione è, in realtà una vera e propria arte in miniatura al crocevia tra estetica, ingegneria e simbolismo. Ogni menuki o kanagu è il risultato di conoscenze metallurgiche avanzate, tecniche miniaturistiche affinate nei secoli e codici visivi comprensibili solo a chi conosce la cultura giapponese classica. A Villa Contarini, tra armature e paraventi, questi piccoli oggetti ci hanno ricordato quanto la bellezza si possa nascondere nel dettaglio più minuto. E quanto, ancora oggi, osservare una foglia d’oro incastonata in uno shakudō scolpito 200 anni fa possa parlare direttamente al cuore e alla mente di chi ama la scienza e l’arte.

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