Nell’Ottocento si diffuse una disciplina affascinante e controversa, nota come scienza del cranio e che oggi chiamiamo frenologia. Questa teoria sosteneva che il cervello umano fosse suddiviso in aree specifiche, ciascuna legata a un’attitudine o a una facoltà mentale, e che queste funzioni potessero essere dedotte osservando la forma del cranio. Nonostante si sia rivelata priva di basi sperimentali, la scienza del cranio ha avuto un ruolo importante nello sviluppo delle neuroscienze.
Le origini della scienza del cranio
Il fondatore della scienza del cranio fu Franz Joseph Gall, nato nel 1758 a Tiefenbronn, nell’attuale Germania. Gall era un medico e neuroanatomista tedesco convinto che qualità come la benevolenza, la memoria e l’orientamento spaziale dipendessero da precise aree cerebrali. Tra il 1796 e il 1802, identificò 27 “organi” del cervello, a cui attribuì facoltà come l’amore materno o il talento musicale. Gall sosteneva che lo sviluppo di ciascuna area fosse in grado di deformare la calotta cranica, creando rilievi riconoscibili al tatto. Questa idea si basava su osservazioni soggettive e non era supportata da prove sperimentali.
La diffusione della frenologia in Europa e in Italia
Grazie all’opera del suo allievo Johann Gaspar Spurzheim (1776-1832), la scienza del cranio si diffuse rapidamente in Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. In Italia, uno dei maggiori sostenitori fu Luigi Ferrarese, che pubblicò nel 1836 il trattato “Memorie risguardanti la dottrina frenologica”, un’opera di oltre 700 pagine. A Padova, Filippo Lussana, professore di Fisiologia tra il 1866 e il 1889, cercò di collegare le circonvoluzioni cerebrali ai comportamenti violenti. Nel 1886, Lussana pubblicò “Anatomia umana e comparata delle circonvoluzioni cerebrali”, un’opera che proponeva di misurare le predisposizioni umane tramite l’anatomia cerebrale.
La scienza del cranio tra razzismo e antropologia criminale
La frenologia non rimase una semplice curiosità medica. A partire dalla metà del XIX secolo, le sue teorie furono strumentalizzate per sostenere idee razziste e gerarchie sociali arbitrarie. Cesare Lombroso (1835-1909), fondatore dell’antropologia criminale, riprese alcuni principi frenologici per affermare come la criminalità fosse ereditaria e riconoscibile dai tratti fisici, come la forma della fronte o la sporgenza della mandibola. Queste tesi, prive di validità scientifica, contribuirono alla discriminazione di intere categorie sociali.
L’eredità della scienza del cranio nelle neuroscienze moderne
Nonostante la totale assenza di riscontri oggettivi, la scienza del cranio ha avuto il merito di introdurre il concetto che il cervello sia diviso in aree funzionali. Studi successivi, come quelli di Paul Broca nel 1861 sull’area del linguaggio, hanno confermato che alcune funzioni risiedono in specifiche regioni cerebrali. Oggi sappiamo che la corteccia motoria primaria controlla i movimenti volontari, mentre l’ippocampo è cruciale per la memoria. Tuttavia, nessuna di queste strutture produce deformazioni della scatola cranica, come invece sosteneva la frenologia.
I teschi frenologici nei musei
Oggi numerosi musei conservano i teschi frenologici come testimonianza di un’epoca in cui si cercava di dare un ordine scientifico alla mente umana. La collezione anatomica della Charité di Berlino ospita diversi crani marcati con inchiostro nero e numeri che indicano le 27 aree della personalità. Questi reperti, databili tra il 1800 e il 1850, ricordano quanto sia facile confondere osservazione e pregiudizio.
Gli strumenti di misura
Per sostenere le proprie teorie, gli studiosi di frenologia si avvalevano di una serie di strumenti concepiti per misurare la forma e le dimensioni del cranio. Il più utilizzato era il craniometro, un dispositivo dotato di aste mobili e scale graduate, impiegato per rilevare le presunte protuberanze legate alle facoltà mentali. A esso si aggiungevano calibri, teste in ceramica con mappe delle diverse aree cerebrali, e calchi in gesso di crani e volti, raccolti a fini comparativi. Questi strumenti, oggi conservati in collezioni storiche e musei della scienza, testimoniano un’epoca in cui si cercava di applicare metodi quantitativi allo studio della mente, nel tentativo di ancorare le funzioni psichiche a strutture anatomiche visibili. Lo studio della frenologia offre oggi uno spunto utile per riflettere sul rapporto tra strumenti scientifici, modelli teorici e contesto culturale.
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